L’età arcaica, l’arrivo dei Greci (720 a.C.)
La fondazione di Sibari nel 720 a.C. nella pianura compresa tra i fiumi Crati e Coscile (l’antico Sybaris), in un luogo favorevole sia all’agricoltura che al commercio, produsse un immediato mutamento nelle condizioni di vita preesistenti nel territorio, con la sparizione totale nel corso del tempo degli insediamenti enotri e la conseguente sostituzione dei coloni agli indigeni nell’attività produttiva. Gli intensi e continui rapporti con gli Enotri, precedenti alla colonizzazione, certamente permisero la precoce espansione territoriale di Sibari, che inglobò le preesistenze nella nuova città (pòlis). I coloni greci, dai primi momenti della colonizzazione, si irradiarono nelle zone più interne e lontane, fino ad allora abitate dagli indigeni e in parte forse mai del tutto abbandonate. La documentazione archeologica attesta una cesura nella frequentazione di quelli che finora erano stati siti strategici (come Torre del Mordillo), disposti perlopiù intorno alla pianura, e uno spostamento di alcuni di essi, a vantaggio di uno sfruttamento del territorio attraverso “villaggi” periferici. Ma il fenomeno più evidente cui si assiste ad opera dei coloni è quello della sacralizzazione delle aree che essi considerano le estreme propaggini del loro territorio, quasi a volerne legittimare il possesso sotto la protezione di una divinità, che diventa anche garante dei rapporti con i frequentatori esterni e che fa dei “santuari di frontiera” luoghi di incontro. In questo contesto, in cui sono numerosi benché sporadici i “segni del sacro”, i capisaldi che delimitano il territorio di Sibari sono rappresentati dal santuario di Atena sul Timpone della Motta di Francavilla Marittima a Nord, e da quello di Cozzo Michelicchio a Sud.
Terrecotte architettoniche da Cozzo Michelicchio
La recente revisione della documentazione d’archivio del Museo di Cosenza ha permesso di assegnare al sito di Cozzo Michelicchio anche alcuni frammenti architettonici finora erroneamente considerati provenienti dalla località San Mauro di Corigliano Calabro. Si tratta di terrecotte attribuibili al tetto di almeno due distinti edifici con funzioni cultuali. Tra questi elementi spiccano due fregi frammentari e assai simili tra loro, composti da lastre di rivestimento decorate con trecce dipinte. Le lastre sono riconducibili a tipologie di origine nelle colonie greche di Sicilia, più specificamente siracusane, come dimostra il riscontro con il thesauròs dei Gelòi nel santuario di Olimpia. Il confronto porta a datare i fregi di Cozzo Michelicchio tra il 550 e il 530 a.C. circa.
Contrada Caccia di Favella: la necropoli di Thurii
Il recente rinvenimento dei diari degli scavi condotti da Luigi Viola tra il 1887 e il 1888 nella Sibaritide ha permesso di attribuire con certezza un gruppo di reperti, fino ad oggi assegnati ad un presunto luogo di culto in località S. Mauro di Corigliano Calabro, ad alcune tombe rinvenute in contrada Caccia di Favella, ugualmente nel comune di Corigliano. Qui furono rinvenute otto tombe di varie tipologie, in parte sconvolte dal passaggio dell’aratro: alcune erano costituite da casse di lastroni in arenaria, altre incassate nella terra con copertura di lastre di tufo o di terracotta. In alcuni dei corredi funebri si rinvennero laminette d’oro con iscrizioni greche di contenuto orfico (formule magiche riferite al percorso che l’anima doveva compiere per godere della beatitudine eterna), ora conservate al Museo Nazionale di Napoli. Tutto il materiale rinvenuto é pertinente alla necropoli di Thurii, la colonia greca che nel 444 a.C. rioccupò il sito e il territorio di Sibari. Si tratta di una vasta area funeraria il cui uso dal IV sec. a.C. si protrae fino al III sec. a.C. Alcuni di essi costituiscono gli unici esempi di vasi a figure rosse di produzione coloniale greca presenti nella collezione del Museo.
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